La dieta senza glutine sta diventando una vera e propria “moda”. A fronte di 198mila malati ufficiali, si stima che circa sei milioni di italiani consumino prodotti senza glutine. Il mercato del gluten free continua a crescere in modo esponenziale. Molti li ritengono più sani e magri. Ma la moda gluten free può essere pericolosa, come sottolinea in questa intervista la biologa nutrizionista Roberta Vigna.
Dottoressa Vigna, la celiachia e l’intolleranza al glutine sono la stessa cosa?
La celiachia (detta anche malattia celiaca) è una malattia autoimmune, in cui il consumo di glutine provoca un’infiammazione cronica che distrugge i villi presenti nel piccolo intestino, e interferisce con l’assorbimento dei nutrienti del cibo.
Al contrario la sensibilità, o intolleranza al glutine (gluten sensitivity), non è una malattia, in quanto non provoca danni alla mucosa intestinale e si identifica con disturbi gastrointestinali e non. Generalmente il soggetto riferisce una serie di sintomi paragonabili a quelli della sindrome del colon irritabile (Ibs): mal di stomaco, meteorismo, mal di testa, sensazione di affaticamento.
Eppure, l’intolleranza al glutine e la celiachia continuano ed essere considerate due patologie simili.
La gluten sensitivity non deve essere considerata una patologia, ma un disturbo che viene ritenuto sempre di più facente parte dell’Ibs.
Recentemente infatti è stato pubblicato uno studio sulla rivista scientifica Gastroenterology, il quale afferma che dietro alla gluten sensitivity si potrebbe nascondere l’IBS. In particolare, in questo quadro complesso rientrano anche gli zuccheri che fanno parte dei Fodmap, ossia zuccheri disaccaridi a catena corta tra cui troviamo il lattosio, fruttosio, polioli e fruttani.
Si è visto che molti dei problemi che vengono imputati al glutine possano essere in realtà dovuti a questa “intolleranza” ai Fodmap in generale, ed in particolare ai fruttani.
I fruttani, insieme alle altre fibre presenti nei cereali, hanno in genere un ruolo positivo nell’intestino sano, sono infatti dei prebiotici in grado di stimolare la crescita delle colonie batteriche intestinali di Lactobacillus e Bifidobacterium — importanti costituenti del microbiota intestinale. Purtroppo però la digestione e assorbimento di questi nell’intestino sono decisamente limitati. Nei soggetti “sensibili” questo assorbimento ridotto e la presenza di fruttani nel lume intestinale, richiama liquido provocando dolore e distensione, con conseguente addome gonfio e meteorismo, borborigmi (i “rumori” nello stomaco) dovuto dalla produzione di gas simile a quello che si vede quando si fa il vino (fermentazione).
La malattia celiaca invece è per la vita: è bene saperlo per capire che la scelta di alimentarsi in questo caso deve essere necessariamente senza glutine, qui il glutine non rappresenta un‘opzione!
In presenza di celiachia, il sistema immunitario risponderà in modo aggressivo ad ogni forma di assunzione di alimenti a base di glutine, che si tratti di una briciola di pane o di un piatto di pasta. La celiachia non è soltanto una malattia autoimmune su base genetica, ma è anche una malattia multifattoriale; ciò significa che la mutazione genetica non causa in maniera diretta la malattia, ma predispone ad un rischio maggiore. La diagnosi di celiachia si fa seguendo un percorso oramai standardizzato che il medico indicherà. A volte capita che alcune persone si sottopongono a test genetici, essi permettono di definire se esiste un rischio ma di per se non permettono una diagnosi certa.
Quale esame bisogna fare per diagnosticare la celiachia?
La diagnosi di celiachia solitamente si svolge in varie tappe: dal sospetto clinico, in cui rientrano tutti i soggetti (adulti e bambini) che a giudizio del proprio medico hanno sintomi compatibili con la celiachia e che dovrebbero fare quindi degli accertamenti specifici. Agli stessi dovrebbero essere sottoposti i parenti di primo grado dei celiaci.
Agli esami sierologici che si effettuano tramite un prelievo del sangue. Tra i test di prima linea troviamo il dosaggio ematico di particolari anticorpi ed autoanticorpi, come la transglutaminasi anti-tissutale (tTGA), gli anticorpi anti-endomisio (Ema) e gli anticorpi antigliadina (Aga).
Se i livelli di questi anticorpi appaiono superiori alla norma, il paziente è probabilmente celiaco e per questo candidabile ad ulteriori esami di accertamento come la Biopsia intestinale. Si tratta del “gold standard” per la diagnosi di celiachia, cioè dell’esame che lascia minor spazio ad errori metodologici e di interpretazione dei risultati. E’ un esame invasivo, eseguito sui soggetti positivi ai precedenti test per ottenere la conferma diagnostica. Quando tali indagini risultano negative, possiamo avere la certezza di non essere davanti ad una malattia celiaca, per cui il soggetto è sano, deve solo essere seguito sull’ alimentazione, che deve seguire il più possibile il modello mediterraneo (vario, equilibrato e rispettare la stagionalità), senza però eliminare nulla dalla propria alimentazione…glutine compreso!
Nel caso di intolleranza al glutine, quale dieta conviene seguire?
Per proporre un trattamento per la sensibilità al glutine vanno valutati vari parametri tra cui la soglia di sensibilità che non è la stessa per tutti bensì varia da individuo a individuo e nello stesso soggetto al trascorrere del tempo. Pertanto, una volta seguito un appropriato iter diagnostico ed escluse le altre patologie è possibile procedere alla luce di quanto riportato dalla letteratura scientifica con la proposta di una alimentazione Low Fodmap, mirata al singolo paziente (personalizzata), per un periodo di tempo limitato. La dieta Fodmap si basa su una riduzione globale del consumo di alimenti che contengono queste sostanze, il cui effetto è cumulativo (legato alla quantità di alimento ed alla frequenza di assunzione) e non dovuto a problemi di tipo immunitario(come nella celiachia). Questo tipo di alimentazione privilegia pasti con alimenti a ridotto contenuto di Fodmap (cereali quali riso, miglio, grano saraceno e anche amaranto e avena, purché questi ultimi due non siano consumati in grandi quantità, pesce, carne prevalentemente bianca, uova, formaggi più stagionati verdura, ortaggi e frutta di stagione) e riduce (ma non elimina) il consumo di quelli particolarmente ricchi (come cereali particolarmente ricchi di fruttani come frumento, farro, orzo e segale ,(questo include ovviamente pasta e pane ottenuti da queste farine, biscotti, cereali da colazione e muesli), latte, latticini prevalentemente quelli a pasta molle, zuccheri semplici (zucchero e dolciumi vari).
I cereali da evitare a causa dei fruttani risultano essere quelli contenenti un quantitativo maggiore glutine. Questo fatto può generare notevole confusione, infatti molti dei soggetti che registrano un notevole miglioramento dei sintomi grazie alla dieta Fodmap si convincono che i loro problemi possano essere dovuti proprio al glutine, perseverando poi in esclusioni che spesso non hanno alcun senso.
Come dev’essere l’alimentazione delle persone celiache?
L’alimentazione nella celiachia gioca un ruolo chiave, in quanto il suo andamento potrebbe peggiorare nel tempo con un’alimentazione sbagliata.
Questo tipo di alimentazione senza glutine non è, come potrebbe sembrare, punitiva, limitativa o legata necessariamente al concetto di rinuncia. Partiamo dall’alimentazione mediterranea, alla quale noi italiani facciamo riferimento, scopriremo una moltitudine di alimenti naturalmente privi di glutine che ognuno di noi consuma giornalmente, sia egli celiaco o meno, e che sono alla base di numerose ricette sane e gustose. Tra questi alimenti vi sono: riso, mais, grano saraceno, legumi, patate, pesce, carne, uova, latte e formaggi, ortaggi e frutta.
Il celiaco dispone dunque di tutti i componenti per costruire una dieta bilanciata e varia, con una particolare attenzione nella scelta delle fonti di carboidrati che devono sostituire i cereali vietati. Oggi l’alimentazione delle persone celiache è molto migliorata grazie ad una serie di alimenti che l’ industria offre e che permette a questi pazienti di avere un’alimentazione il più vicina possibile a quella mediterranea.
Si può scegliere di seguire una dieta priva di glutine, senza fare gli esami diagnostici?
Capita spesso che i non celiaci scelgano autonomamente di eliminare il glutine. Ma questa è una scelta sbagliata, perché ciò deve avvenire solo dopo una diagnosi accertata di celiachia. Si corre inoltre, il rischio di creare ulteriore confusione rendendo non affidabili gli strumenti di indagine a disposizione e portando a diagnosi errate o ritardate, che nel caso si sia di fronte a celiachia, possono avere conseguenze abbastanza gravi soprattutto in età pediatrica, in cui si potrebbe perdere la finestra temporale di crescita. Intere classi di alimenti vanno escluse soltanto quando vi è una ragione precisa, una condizione che ne richieda l’eliminazione per il benessere del paziente, diagnosticata con strumenti e procedure affidabili.
La sensibilità al glutine non è una patologia, la persona che ha i sintomi legati ad essa non deve aver paura di mangiare, la sua deve essere un’alimentazione mirata secondo la sintomatologia, ma sempre equilibrata e varia, seguita da figure esperte di nutrizione che sapranno valutare l’approccio nutrizionale migliore da seguire basato sulla corretta modalità, quantità, qualità e frequenza di assunzione degli alimenti, per ridurre la sintomatologia.
Il mio consiglio in caso di sospetta-accertata malattia celiaca o sensibilità al glutine (gluten sensitivity) è sempre quello di non procedere mai con autodiagnosi ed un’alimentazione “fai da te”, mai per moda, per sentito dire o consigliato dal guru di turno. In tanti si convincono di soffrire questo disturbo, magari dopo aver letto da qualche parte sintomi generici e collegabili a tante altre cause.
E’ fondamentale evitare di intraprendere un’alimentazione priva di glutine, che potrebbe compromettere la vostra salute, senza il supporto di figure professionali con competenze specifiche (medico di base, gastroenterologo, biologo nutrizionista, dietista) e di centri di riferimento in grado di seguirvi adeguatamente dalla diagnosi, al percorso terapeutico, ad un’alimentazione corretta che permette di gestire anche le eventuali carenze nutrizionali di micronutrienti che potrebbero insorgere nel tempo.