Il “burnout”, ovvero lo stress da lavoro, è una sindrome. A stabilirlo in modo ufficiale è stata l’Organizzazione Mondiale della Sanità dopo decenni di studi. La sindrome colpisce in misura prevalente coloro che svolgono professioni di aiuto nel sociale, nelle emergenze come medici, psicologi, assistenti sociali, pedagogisti, operatori dell’assistenza sociale e sanitaria, infermieri, educatori sanitari e socio-pedagogici, forze dell’ordine e operatori del volontariato.
Tale fenomeno fu osservato da Herbert Freudenberger e da Christina Maslach dopo il 1970 all’interno di un reparto di igiene mentale in cui avevano notato su alcuni operatori dei sintomi caratteristici di questo problema.
La sindrome si manifesta generalmente in quattro fasi. La prima, preparatoria, riguarda l’entusiasmo di scegliere un lavoro altruistico. Ma quando il carico di lavoro diventa eccessivo, l’entusiasmo comincia a diminuire e si entra nella fase di stagnazione. Le aspettative non coincidano con la realtà lavorativa.
A questo punto si sperimentano sentimenti di inutilità e di frustrazione. In molti casi si mettono in atto comportamenti aggressivi verso se stessi o gli altri. Quando poi l’interesse e la passione per il lavoro si spengono completamente si è ormai nella fase dell’apatia.