Le parole contano. Lo ribadisce una volta di più l’OMS che, in collaborazione con IFRC (International Federation of Red Cross e Red Crescent Societies) e Unesco, ha redatto una vera e propria guida, rivolta alle istituzioni governative, ai media e alle organizzazioni che lavorano nel campo della nuova malattia da coronavirus, per prevenire e affrontare lo stigma sociale.
Frutto, quest’ultimo, di un’imprudente e scorretta associazione tra la malattia e particolari luoghi o etnie, che passa attraverso espressioni quali “virus cinese” o “virus di Wuhan” o “virus asiatico”. Ma anche parlare di “casi sospetti” o “sospetti COVID-19” come pure di persone che “trasmettono COVID-19”, che “infettano gli altri”, può alimentare lo stigma e al tempo stesso una maggiore riluttanza a farsi curare o a sottoporsi a screening, test e quarantena.
Anche enfatizzare gli sforzi per trovare un vaccino e un trattamento, si legge nella guida, può aumentare la paura e dare l’impressione che non siamo in grado di arrestare le infezioni. Infine, lo stigma può essere favorito da una conoscenza insufficiente relativamente a come il nuovo coronavirus viene trasmesso e trattato e come si può prevenire l’infezione. Di conseguenza, occorre diffondere, con linguaggio semplice privo di termini clinici, informazioni accurate e specifiche in relazione a: le aree interessate, la vulnerabilità individuale e di gruppo a COVID-19, le opzioni di trattamento, cosa fare per avere assistenza sanitaria e informazioni sulla malattia.